martedì 16 novembre 2010

Verdure km 0

Le mie amiche S. e N. che vivono a Parigi e a Monaco da tempo mi dicevano che erano abbonate ad un servizio di consegna a casa di prodotti di stagione. Il servizio obbliga in un certo senso a mangiar sano perché una volta che hai il frigo pieno di frutta e verdura ti ingegni a trovare il modo per cucinarle e passi un po’ meno in rosticceria a comprare cose buone ma grasse e non troppo genuine.


Ebbene ho deciso di aderire anch’io ad un servizio simile e dopo aver tartufato su un po’ di siti di gruppi di acquisti solidali sono approdata su magiordomus.it.
Questo è il contenuto della prima cassetta che mi è arrivata oggi:
Ora devo trovare il modo di cucinare con un po’ di fantasia per dare soddisfazione al mio palato e restare alla larga dalla rosticceria. Andrò su cooker.net dove si inserisce l’ingrediente e poi si sceglie una delle ricette segnalate.

giovedì 11 novembre 2010

Creatività in tempo di crisi

Di recente ho cambiato approccio nei confronti dei Venditori. Non parlo di commercianti al dettaglio o di venditori porta a porta ma di professionisti della parola. Di tanto in tanto mi imbatto in una di queste persone che solitamente ha un atteggiamento finto umile e informale, quasi amichevole e il cui scopo è innestarti nel cervello – si, ho visto Inception - l’idea che lui o lei ha la soluzione ai tuoi problemi.
L’ambito è quello lavorativo e i Venditori capita spesso che siano consulenti travestiti da guru della materia. Perché dico che ho cambiato atteggiamento.

Anno 2001, sto preparando la tesi e leggo Rifkin. Il libro mi piace e mi dà molti spunti. Quando scopro che è tra i relatori di un simposio a Genova mi precipito lì per abbeverarmi direttamente alla fonte. È stato il primo incontro con un Venditore. Piena di aspettative, blocco e penna alla mano resto un po’ interdetta quando si fa dare un microfono, scende dalla cattedra e si mette a passeggiare e a presentarsi come se fosse al circo. Lì ho conosciuto l’approccio americano al pubblico, ho scoperto che non mi piace e che l’unico risultato che riesce ad avere su di me è la disaffezione. Ma il Venditore si caratterizza anche per altri elementi oltre alla prossemica. Il signore in questione parlava del libro che avevo letto ma non aggiungeva nulla rispetto a quanto c’era scritto nel libro. La sua presentazione era superficiale e approssimativa, piena di paroloni, strambi neologismi, priva di guizzi dell’intelletto ma ostentava di essere la verità su cosa sarebbe accaduto nel prossimo futuro e su cosa le persone avrebbero dovuto fare per emergere in quel futuro e scongiurare i rischi di annegamento. Ho avuto chiara la sensazione che il libro di cui appariva autore era in realtà la collezione di studi che poveri studenti sottopagati avevamo messo insieme per il proprio schiavista; che il suo mestiere era quello di andare in giro per il mondo a intascare cospicue somme per elargire false pillole di saggezza. Ebbene…me la sono presa. Ci sono rimasta proprio male. Un piccolo castelletto della mia mente è andato in frantumi.

Anno 2010, ho imparato a essere venditore anch’io. Mi piace pensare di farlo sempre con un certo stile e con la possibile discrezione che il momento permette. Di Venditori ne ho visti e sentiti tanti. Li riconosco dopo poche righe, pochi minuti. Anzi sono vicina a pensare che siamo sul lavoro – almeno quello che faccio io e simili - tutti venditori chi con la v piccola chi con la V grande. Eppure a volte capita che un incontro mi scuota dall’assuefazione e mi faccia tornare a riflettere sull’arte del Vendere. È capitato di recente, un’interazione cercata, quasi auspicata. Il Venditore in questione è un senior partner di un’organizzazione internazionale leader nel change management - qualcuno a questo punto direbbe che la quantità di parole inglesi nella frase determina di per sé la nullità del concetto, ma tant’è. Io lavoro con questa persona perché lei può portare dei benefici al mio lavoro e io, bontà sua, al suo. A seguito di diverse interazioni purtroppo ancora non sono riuscita a chiarirmi il senso del suo lavoro: il cambiamento nella gestione delle organizzazioni può avvenire solo attraverso un diffuso intervento sui cervelli delle persone e lei non è un neurochirurgo. La persona in questione è in ottimi rapporti con il guru del momento, quello che vede la luce e che ci indica la via da seguire e che di recente ha espresso la sua verità in una conferenza a cui hanno potuto assistere solo pochi illuminati, muovendosi da tutto il globo. Uno dei partecipanti ha presentato il modello di change management che la sua impresa – famosa multinazionale che produce ogni genere di cosa di cui tutti noi facciamo uso – ha messo a punto e che definisce come “il modello di innovazione dominante del ventunesimo secolo”.
In breve: il modello di relazione e sviluppo – così si chiama – consiste nel tartufare dentro l’azienda e al di fuori di essa per trovare buone idee e applicarle ai processi e ai prodotti dell’azienda. In questo modo la funzione di ricerca e sviluppo dell’impresa non perde tempo e risorse a studiare i possibili modi con cui innovare la gestione a supporto della competitività dell’impresa sul mercato, ma si limita ad adattare le soluzioni che altri hanno già ideato. Con l’imperativo Adapt or Die, osannati da un pubblico entusiasta, viene quindi presentata la soluzione creativa del secolo ovvero Copia e Fai meglio!

Da parte mia resta lo sbigottimento per la banalità e la scorrettezza che il modello teorizza e il fatto che lo faccia su una delle riviste economiche più quotate al mondo.

Evidentemente la mia conversione a Venditore ancora non è completa. Olè.