lunedì 24 novembre 2008

Vomitino&Io

Oggi pomeriggio sono sempre stata in compagnia del mio amico Vomitino. È arrivato già quando ero in taxi, anzi ancora prima quando mi avevano confermato che la riunione non era ahimè annullata (io ho chiamato per sicurezza, stando in Italia non si sa mai, magari era crollato un tetto). Entriamo (io e Vomitino) con 10 minuti di anticipo e troviamo il lungo tavolo ovale già pieno per metà. Età media 60 anni, anno più, anno meno, quasi tutti canuti e tracagnotti, al di là del tavolo gli ambasciatori, i ministri plenipotenziari, gli onorevoli ex ministri che non hanno faticato a procurarsi un comodo cappello istituzionale altro, avvocati inservienti di cui uno spicca per goffagine e servilismo quando vicino a chi gli fa portare la sua borsa, audacia e spocchia che si tramutano in due belle scocche rosse quando parla al microfono, per rivolgersi all’altra metà del tavolo, fatta di accademici e professionisti, disincantati per lo più, ma sempre pronti all’accondiscendenza, pieni di complimenti e di congratulazioni e di io io io, nel caso ci fossero un giorno dei soldi da spartire, sarebbe giusto darli a io io io. Vomitino non mi lascia in pace un attimo e continua suggerirmi che proprio non ci sarebbe motivo per tutto questo inchinarsi visto che è la quarta volta che ci riuniamo e siamo ancora all’approvazione dello statuto. Bah. Per fortuna Vomitino non mi disturba quando caccio le mie carte e mi metto a leggere. Nel frattempo la sala si riempie e l’età media aumenta. Gentilissime rappresentanti del gentil sesso: tre. Tre su boh, tipo trenta persone. Una delle tre era ovviamente la segretaria, temo molto personale, del pleniplurionorevole presidente di turno. Per essere bella era bella, eterea, labbra vermiglio e bustino sottogiacca molto sexy. Credo che spuntasse anche del pizzo nero. Comunque, mentre cerco di tenere a bada Vomitino spiegandogli che essere in gamba per una donna non deve per forza significare essere uguale all’Angelona Merkel, il mio angelo caduto sillaba qualcosa e visibilmente sconvolta, rivolta al suo pigmalione, confessa che l’elenco delle presenze non è aggiornato. Vomitino schizza a 20, io resto a 0.
Riesco a defilarmi dopo solo due ore di tautologie e conduco Vomitino ormai irrefrenabile fuori.

Sull’autobus stracolmo verso casa le porte si aprono e sale un signore. Odore forte di alcool. Sorriso senza denti. Dice che la vita è dura, ma questa è la vita. Io sorrido e annuisco. Mi chiede se sono tedesca. No, dico io, italiana. Ah, io ucraino e inizia a cantare una canzoncina, presumibilmente in ucraino. Arriva la mia fermata, gli auguro una buona serata e scendo.

Strano ma Vomitino era sparito. Al suo posto era arrivato Sorriso.

C.U. doc

Di fronte ad una lasagna asparagi e gamberetti, un pochetto secca e senza sale, ci troviamo a discutere del mito del C.U.
Grande abbondanza in questo periodo, senza preclusione di età, di locazione geografica e di conformazione fisica. Unico tratto comune: genere maschile, opzione n.1 infanzia difficile (ma d’altronde l’infanzia È difficile).

C.U. tipo: ti abbraccia come se deve grattare un brufolo; ti sorprende con un improvviso slancio di tenerezza ma è per scansare la forfora sulla tua maglia; all’improvviso sembra che stia pensando ad una parola dolce, ma è solo il preludio di un sonno profondo; fa l’amore se riesci a farlo sentire a suo agio nei panni di Kung Fu Panda; chiama e resta muto, pensi che devi cambiare operatore ma capisci che non è l’operatore a dover essere cambiato; tempo minimo di risposta ad un messaggio: 48 ore; chiamata: massimo una/due a settimana e se ti chiama una volta in più è perché non si ricorda il risultato di 9x9; se una cosa è bella lascia stare, troppo stress; se gli scappa un ti voglio bene e realizza che non ha la madre di fronte abbassa lo sguardo imbarazzato chiedendo scusa; ha spalle per reggere tutto il peso del mondo, tutto tranne il tuo; ti commuovi vedendo che ha gli occhi lucidi, poi realizzi che in mano ha una cipolla.

A questo punto la domanda vera è: saremo noi più C.U. dei C.U. di cui ci innamoriamo?

domenica 9 novembre 2008

Le streghe hanno smesso di esistere perché noi abbiamo smesso di bruciarle.

In questo periodo mi imbatto spesso nelle streghe. Streghe raccontate nei libri, incontrate nei film,
come nel cartone Kirikù e la strega Karabà, dove sono tutti molto abbronzati.

Ma perché la strega Karabà mangia gli uomini?
Lei non mangia gli uomini ma vuole che la gente lo creda così hanno paura di lei.
Ma perché è così cattiva?
Perché soffre.
E perché soffre?
Perché le hanno piantato una spina avvelenata nella schiena.
Perché non la toglie?
Perché non è facile farlo da sola, non ci arriva!
E perché non chiede ad un’amica di strapparla via?
La strega Karabà non ha amiche. E poi…perderebbe i poteri.

Alla fine il piccolo Kirikù strappa via la spina dalla schiena della strega. Lì per lì soffre ma poi si sente rinata e può ricominciare a vivere, finalmente liberata dal peso della sofferenza.